L’indennità di trasferta è una somma giornaliera riconosciuta al lavoratore qualora svolga l’attività fuori dalla normale sede contrattuale di lavoro in maniera temporanea. Ma quando viene riconosciuta e qual è la disciplina fiscale di questo compenso aggiuntivo riconosciuto al dipendente?
Cos’è l’indennità di trasferta?
Il dipendente o il collaboratore dell’azienda molto spesso si trovano a doversi spostare dalla sede abituale di lavoro. La trasferta è diventata, infatti, sempre più una regola che un’eccezione.
Parliamo di un spostamento che viene fatto per nome e per conto dell’azienda e che comporta dei costi da sostenere. Proprio perché viene fatto in nome dell’azienda, il lavoratore che lo compie ha diritto a un rimorso per le spese di viaggio sostenute. Questa somma prende il nome di indennità di trasferta.
L’indennità di trasferta è, infatti, un rimborso a favore dei dipendenti per ricompensare i costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività lavorativa al di fuori della sede di lavoro abituale.
Alla base del diritto all’indennità di trasferta vi deve essere il carattere provvisorio dello spostamento. Quindi, se il dipendente si trasferisce in maniera stabile dalla sede abituale di lavoro non ha alcun diritto a questa formula di rimborso.
Il carattere temporaneo, quindi un cambio della sede di lavoro solo per un periodo limitato, dà il diritto di percepire l’indennità di trasferta.
Attenzione però, l’indennità non va confusa con il rimborso spese. Anche se parliamo di due contributi a favore dei dipendenti, utilizzati per rimborsare gli stessi per eventuali spostamenti temporanei dalla sede di lavoro, sono due tipologie di somme diverse tra loro.
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Infatti:
- l’indennità di trasferta è una somma di denaro erogata in maniera forfettaria;
- il rimborso, invece, viene calcolato sulle spese effettivamente sostenute dal dipendente: ha speso 56 euro, se documentati su una nota spese, gli viene rimborsata la stessa cifra. Situazione che non si verifica con l’indennità di trasferta che vedremo nel prosieguo.
Quando spetta l’indennità di trasferta?
Siccome le trasferte di lavoro sono ormai all’ordine del giorno, è importante capire quando spetta l’indennità di trasferta. Ci sono casi, infatti, in cui vengono utilizzati altri strumenti per rimborsare il dipendente. Per cui è fondamentale capire quando utilizzare l’indennità e quando invece non è possibile assolutamente farne uso legale.
Per poter usufruire dell’indennità di trasferta occorre spostarsi dal luogo abituale di lavoro, come abbiamo già detto. Ad esempio, lo spostamento per visionare un cantiere oppure per incontrare un fornitore o cliente in un altro comune diverso da quello della sede aziendale.
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L’elemento fondamentale della spostamento è la temporaneità della trasferta. Solo così si può ottenere l’indennità di trasferta. Ma non è l’unico parametro da considerare.
Infatti, l’utilizzo può avvenire solo se sussistono ulteriori condizioni:
- presente nel contratto collettivo di lavoro;
- viene fatta per lo svolgimento delle proprie attività;
- finita l’attività si torna sul posto di lavoro principale.
Senza questi parametri utilizzare l’indennità di trasferimento non è possibile. Ad esempio, se non si torna sul posto di lavoro principale non possiamo più parlare di trasferta ma di trasferimento. In quel caso non ha diritto al riconoscimento delle spese effettuate attraverso questo strumento di remunerazione.
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Quanto vale l’indennità di trasferta?
Per sapere quanto vale l’indennità di trasferta occorre fare riferimento al contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL).
L’indennità:
- viene calcolata in base alla retribuzione giornaliera (e può oscillare tra 45 e 20 euro);
- può variare sia in base al tipo di contratto di lavoro che al settore lavorativo di appartenenza (commercio, metalmeccanico, servizio edilizia solo per fare alcuni esempi).
Non abbiamo, quindi, una valutazione fissa per tutti i settori o contratti collettivi italiani.
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Qual è la disciplina fiscale dell’indennità di trasferta?
L’indennità di trasferta è disciplinata dall’articolo 51 comma 5 Tuir. L’articolo in questione regolamenta il trattamento fiscale e contributivo della trasferta, e quindi l’impatto che la stessa può avere sulla remunerazione fiscale del lavoratore.
La quota a titolo di indennità di trasferta è fissa ed è pari a:
- 46,48 euro per le trasferte in Italia
- e 77,47 euro per le trasferte all’estero
al netto delle spese di viaggio.
Secondo la normativa di riferimento concorrono alla formazione del reddito del dipendente per la parte eccedente. Dunque, su quelle somme, non è dovuta imposta, ma solo se si superano le soglie stabilite. Allora si che il rimborso viene tassato in busta paga e concorre alla formazione del reddito.
Se all’indennità di trasferta viene aggiunta anche anche il rimborso delle spese di alloggio o di vitto, il limite appena detto viene ridotto. Avremmo quindi, una:
- riduzione di un terzo, quindi esenzione fino al limite di 30,99 euro giornalieri (51,65 euro per le trasferte all’estero) se oltre all’indennità viene riconosciuta al dipendente la spese di vitto o alloggio.
- riduzione di due terzi, quindi esenzione fino al limite di 15,49 euro giornalieri (25,82 euro per le trasferte all’estero), se oltre all’indennità viene riconosciuta al dipendente la spesa di vitto e alloggio.
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Questi i benefici di cui può beneficiare il dipendente, ma ricordiamo che anche l’impresa può usufruire di determinati vantaggi fiscali dall’utilizzo di questo compenso aggiuntivo. A certe condizioni, infatti, l’azienda può dedurre queste cifre e quindi ridurre la base imponibile.
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